Recensione a “Sinestesie dell’Io” di Daniela Cecchini
fonte: VOCILETTERARIE
A cura di Elisabetta Bagli
I versi di Daniela Cecchini, che ci accompagnano in questa sua prima silloge dal titolo “Sinestesie dell’Io”, sono un invito alla riflessione sul mondo in cui viviamo, troppo spesso dilaniato e martoriato, nel quale la brutalità delle azioni viene coperta, a volte, da quel velo di omertà che può dissolversi solo tramite la denuncia, eseguita anche attraverso l’arte e la poesia, proprio come fa la scrittrice.
I versi di Daniela Cecchini sono un canto scritto, sorto con il fine ultimo di essere “toccato” con mano dai lettori, evoncando proprio il concetto sinestetico del titolo, di quell’Io che scatena sensazioni differenti nello stesso atto percettivo, di quell’Io che altri non è che l’uomo in ogni sua sfumatura, fatto di emozione e sfida, fatto di carne, ossa e anima.
Il tono della silloge “Sinestesie dell’Io”, nonostante la profondità delle tematiche che costituiscono un vero e proprio viaggio attraverso l’uomo – il rifugiato, il povero, le spose bambine (“Bambine soldato”, “Incolpevoli sguardi”, “Umanità ostaggio del male”, “Distanti”…), l’innamorata delusa o ancora speranzosa nel futuro, la donna che si ricorda bambina (“Proiezioni interiori”, “Arduo sperare”, “Come un fiore”, “Eterna meraviglia”, “La mia piccola mano”…) – è sempre diretto, si arricchisce solo delle esternazioni responsabili della poetessa che ci portano a respirare la sua nuda coscienza, mostrandocela in tutta la sua energica personalità, scevra di maschere (“La maschera”).
Per questo posso affermare che la poesia per Daniela Cecchini è essenzialmente strumento vitale: la poesia deve essere limpida e onesta innanzitutto per lei stessa, ancor prima che per il lettore, ancor prima che questi possa apporre le sue personali interpretazioni ai versi che sta leggendo.
La disperazione e l’agonia soffiano, a volte lievi e a volte con sdegno, amplificando quel lirismo profondamente radicato nel sentire della poetessa, testimone del suo compromesso etico-sociale nel difficile tempo in cui ci troviamo a vivere. Impresa questa che potrebbe risultare ostica qualora il linguaggio usato non fosse agevole e snello come quello adoperato da Daniela Cecchini che grazie alla forza delle parole e delle immagini dona agilità alla lettura delle sue liriche.
Daniela Cecchini ha scritto queste poesie perché rifiuta la violenza in ogni sua accezione, perché respinge l’impunità, perché “Sinestesie dell’Io” potesse essere una silloge umana, una silloge nella quale fosse protagonista l’Uomo fuso con il mondo in cui vive, in modo tale da non farlo sentire estraneo nello stesso, ma che sia sempre più parte integrante e attiva della società, facendogli recuperare la dignità e la giustizia che gli sono consone:
“Silenzi”
Tonante silenzio di anime mute
sempre più forte avverto.
Lo stesso ereditato
da chi nasce madre,
come me
…
Coraggio che non ci appartiene,
per uccisa dignità.
Le liriche di Daniela Cecchini non sono solo densità e coraggio di esporre le proprie idee in relazione al mondo, ma sono anche anelito e speranza d’amore, dolce nostalgia per un recente passato, per quei ricordi che l’aiutano a spaziare nel suo Io pieno di colori, profumi e suoni che le conferiscono la piena consapevolezza di Essere. A tal proposito posso affermare che alcune delle sue poesie sono scritte in un crescendo di Luce che rende lieve e unico il suo respiro poetico, capace di generare vitalità e calore:
“Non c’e via di fuga”
Un dedalo di implosioni
dilanianti,
ma necessarie
per sperare nella luce
“Vento”
Ti accolgo e mi sfiori
anelito di carezza
quando torni sussurro di brezza
"Proiezioni interiori”
Sereni colori di una veloce alba,
confusi confini con l’inafferrabile mare,
specchio di proiezioni interiori
Anche la scelta dell’incisiva opera dell’artista Massimo Patroni Griffi “Le stanze dell’anima” per la copertina della sua prima silloge è indicativa della necessità di Daniela Cecchini di voler cercare quella percezione sinestetica con il proprio Io che si snoda durante la lettura delle tante sfumature dell’essere umano descritto nei suoi versi. È un libro da scoprire per scoprire se stessi.
fonte: VOCILETTERARIE
A cura di Elisabetta Bagli
I versi di Daniela Cecchini, che ci accompagnano in questa sua prima silloge dal titolo “Sinestesie dell’Io”, sono un invito alla riflessione sul mondo in cui viviamo, troppo spesso dilaniato e martoriato, nel quale la brutalità delle azioni viene coperta, a volte, da quel velo di omertà che può dissolversi solo tramite la denuncia, eseguita anche attraverso l’arte e la poesia, proprio come fa la scrittrice.
I versi di Daniela Cecchini sono un canto scritto, sorto con il fine ultimo di essere “toccato” con mano dai lettori, evoncando proprio il concetto sinestetico del titolo, di quell’Io che scatena sensazioni differenti nello stesso atto percettivo, di quell’Io che altri non è che l’uomo in ogni sua sfumatura, fatto di emozione e sfida, fatto di carne, ossa e anima.
Il tono della silloge “Sinestesie dell’Io”, nonostante la profondità delle tematiche che costituiscono un vero e proprio viaggio attraverso l’uomo – il rifugiato, il povero, le spose bambine (“Bambine soldato”, “Incolpevoli sguardi”, “Umanità ostaggio del male”, “Distanti”…), l’innamorata delusa o ancora speranzosa nel futuro, la donna che si ricorda bambina (“Proiezioni interiori”, “Arduo sperare”, “Come un fiore”, “Eterna meraviglia”, “La mia piccola mano”…) – è sempre diretto, si arricchisce solo delle esternazioni responsabili della poetessa che ci portano a respirare la sua nuda coscienza, mostrandocela in tutta la sua energica personalità, scevra di maschere (“La maschera”).
Per questo posso affermare che la poesia per Daniela Cecchini è essenzialmente strumento vitale: la poesia deve essere limpida e onesta innanzitutto per lei stessa, ancor prima che per il lettore, ancor prima che questi possa apporre le sue personali interpretazioni ai versi che sta leggendo.
La disperazione e l’agonia soffiano, a volte lievi e a volte con sdegno, amplificando quel lirismo profondamente radicato nel sentire della poetessa, testimone del suo compromesso etico-sociale nel difficile tempo in cui ci troviamo a vivere. Impresa questa che potrebbe risultare ostica qualora il linguaggio usato non fosse agevole e snello come quello adoperato da Daniela Cecchini che grazie alla forza delle parole e delle immagini dona agilità alla lettura delle sue liriche.
Daniela Cecchini ha scritto queste poesie perché rifiuta la violenza in ogni sua accezione, perché respinge l’impunità, perché “Sinestesie dell’Io” potesse essere una silloge umana, una silloge nella quale fosse protagonista l’Uomo fuso con il mondo in cui vive, in modo tale da non farlo sentire estraneo nello stesso, ma che sia sempre più parte integrante e attiva della società, facendogli recuperare la dignità e la giustizia che gli sono consone:
“Silenzi”
Tonante silenzio di anime mute
sempre più forte avverto.
Lo stesso ereditato
da chi nasce madre,
come me
…
Coraggio che non ci appartiene,
per uccisa dignità.
Le liriche di Daniela Cecchini non sono solo densità e coraggio di esporre le proprie idee in relazione al mondo, ma sono anche anelito e speranza d’amore, dolce nostalgia per un recente passato, per quei ricordi che l’aiutano a spaziare nel suo Io pieno di colori, profumi e suoni che le conferiscono la piena consapevolezza di Essere. A tal proposito posso affermare che alcune delle sue poesie sono scritte in un crescendo di Luce che rende lieve e unico il suo respiro poetico, capace di generare vitalità e calore:
“Non c’e via di fuga”
Un dedalo di implosioni
dilanianti,
ma necessarie
per sperare nella luce
“Vento”
Ti accolgo e mi sfiori
anelito di carezza
quando torni sussurro di brezza
"Proiezioni interiori”
Sereni colori di una veloce alba,
confusi confini con l’inafferrabile mare,
specchio di proiezioni interiori
Anche la scelta dell’incisiva opera dell’artista Massimo Patroni Griffi “Le stanze dell’anima” per la copertina della sua prima silloge è indicativa della necessità di Daniela Cecchini di voler cercare quella percezione sinestetica con il proprio Io che si snoda durante la lettura delle tante sfumature dell’essere umano descritto nei suoi versi. È un libro da scoprire per scoprire se stessi.